Prendersi in gioco, di Marta Badoni
Raffaello Cortina Editore, Milano, 2023
Raffaello Cortina Editore, Milano, 2023.
“Prendersi in gioco” è “un distillato di esperienza di Marta Badoni, neuropsichiatra infantile e membro ordinario con funzioni di training della Società psicoanalitica italiana (SPI), di cui è stata segretario nazionale e vicepresidente” (p. IX). Scorrevole, interessante, affonda le sue radici nella storia della psicoanalisi infantile e propone spunti di riflessione di grande attualità, tra cui il rapporto dei bambini con la realtà virtuale, il ruolo dei genitori nella gestione (o nell’evitamento) dei conflitti e l’impatto delle modificazioni della società sullo sviluppo psichico dei bambini. Si tratta di un volume denso, che può sollecitare l’interesse sia di coloro che abitualmente lavorano con bambini e adolescenti, ma anche di chi si occupa di adulti.
L’autrice riprende più volte alcune delle domande che hanno scandito la sua vita professionale e cerca di suggerire una risposta: “Perché il lavoro con i bambini che tanto mi ha insegnato non trova spazio nell’organizzazione istituzionale? Perché la parola infantile, se avvicinata a psicoanalista, suona svalutante?” (p. 25). Il testo, quindi, è un testimone del percorso che la psicoanalisi infantile ha compiuto per conquistare un proprio spazio e vedere finalmente riconosciuta la propria dignità nella cura e nella prevenzione del disagio psichico.
Uno spazio centrale, come si intuisce dal titolo, viene dato al gioco in analisi, strumento essenziale per “prendere” il paziente, ovvero instaurare un dialogo significativo con lui anche laddove non abbia ancora sviluppato le parole per farlo. Per l’autrice, “Non solo è utile, ma direi inevitabile, che l’analista giochi con il bambino” (p.71). Il gioco viene analizzato nei suoi molteplici significati e usi, a partire dalle pioniere di questo campo (Hermine von Hug-Hellmuth, Eugénie Sokolnicka e Sophie Morgenstern), passando attraverso le “Discussioni Controverse” (organizzate dalla British Psychoanalytic Society nel 1943-1944 per discutere le divergenze che si erano create fra Melanie Klein e Anna Freud), per arrivare ai contributi di Winnicott e di autori più recenti in Inghilterra, Francia e Italia.
Grande attenzione viene posta agli attori del gioco, in particolare il ruolo dell’analista, la sua storia e il suo iter formativo, ma anche al setting, che viene analizzato e osservato come strumento essenziale da preservare e che dà senso e continuità al lavoro. La stanza di analisi deve prevedere spazi e oggetti dedicati che assumono un valore comunicativo e rappresentazionale fondamentale. Anche il disordine è parte della comunicazione del bambino e chiede di essere tollerato: il modo in cui vengono usati e disposti gli oggetti ha un senso ed è essenziale permettere ai bambini di esprimersi in un contesto che può dare valore alla loro vivacità senza spaventarsi o trasmettere l’urgenza di riordinare, pulire, sistemare, limitare. Un luogo dove, ogni settimana, il bambino può ritrovare una parte di sé, per continuare il gioco.
Nel libro, l’autrice riprende più volte anche altri temi di grande interesse, tra cui il ruolo del corpo e della parola, l’analisi del non verbale, del pre-verbale e del verbale, dei simboli, del silenzio e dei gesti, la creazione di un ritmo terapeutico e al ruolo di “appoggio” che il terapeuta lentamente acquisisce nello sviluppo del bambino, in un percorso che permette di “recuperare la forma del loro corpo, di dare un nome al corpo e alle sue parti, riconoscendone l’unità e la complessità” (p. 17).
Infine, viene più volte rivolta l’attenzione anche all’ambiente del bambino e al ruolo dei genitori, che devono sentirsi parte del processo, coinvolti nel lavoro, aiutati in quel compito difficilissimo che è crescere un altro essere umano, unico e diverso dagli altri.
Vignette e casi clinici aiutano il lettore a entrare ancora di più nel merito della metodologia di lavoro.
Scheda di lettura a cura di Emma Francia (psicologa e psicoterapeuta in formazione)
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