Durante una partita del campionato di calcio femminile giordano, una giocatrice dell’Amman Club, dopo un contrasto, perde l’hijab, il tradizionale velo islamico usato dalle donne per coprirsi il capo e autorizzato dalla FIFA. A quel punto, le avversarie del Shabab al-Ordon, che giocano invece a capo scoperto, anziché sfruttare la condizione di superiorità numerica, fermano la partita e si stringono attorno alla giocatrice facendole scudo con il proprio corpo per permetterle di risistemare i capelli sotto il velo. L’episodio è dello scorso anno, ma per i misteriosi meccanismi che regolano la diffusione delle notizie in rete, è diventato virale a partire dall’ottobre 2019.
Che cosa c’entra la mentalizzazione? Secondo questo concetto, ormai anch’esso virale fra gli psicologi, tutti noi mentalizziamo quando diventiamo consapevoli dei nostri stati mentali e di quelli degli altri. Per usare uno slogan che ha avuto fortuna, mentalizzare significa “tenere a mente la mente” (keep mind in mind).
Le giovani calciatrici hanno dato una prova efficace di questa capacità quando hanno letto il disagio della loro compagna assumendo come criterio di giudizio lo stato mentale di quest’ultima e non il proprio, di ragazze vestite all’occidentale e senza la preoccupazione di coprire il capo. In altri termini, anche se in una situazione analoga non avrebbero provato imbarazzo e vergogna, hanno compreso questi sentimenti per loro estranei e si sono comportate di conseguenza.
È interessante che le ricerche riconducano alcuni specifici quadri psicopatologici a un deficit della mentalizzazione: in particolare, i disturbi borderline e antisociale di personalità sembrano esemplificare il fallimento della costruzione della capacità di mentalizzare durante il percorso di sviluppo, dall’infanzia all’età adulta. Da cui la disregolazione emotiva, l’impulsività e numerosi comportamenti distruttivi. Il recupero di un’accettabile relazione con se stessi e con gli altri sarebbe quindi legato anche alla possibilità di imparare, con adeguati interventi psicologici e prima che sia troppo tardi, a “tenere a mente la mente”.
La generosità delle calciatrici giordane ha catturato la nostra attenzione perché in questi tempi è sempre più raro vedere comportamenti individuali e collettivi spontanei e organizzati a partire dagli stati mentali di coloro ai quali sono rivolti. Si tratta, insomma, di tenere a mente la mente degli altri, cogliendone la sostanza attraverso un meccanismo di identificazione controllata. Niente di diverso dal vecchio “mettersi nei panni altrui” che se viene dimenticato o addirittura sconsigliato dalla cultura vigente finisce per corroborare la fisionomia arcigna di una società impietosa e profittatrice, nella quale non è bello giocare a calcio e nemmeno vivere.
A cura della redazione
Per approfondire
Allen J.C., Fonagy P., Bateman A.W. (2008), La mentalizzazione nella pratica clinica. Tr. it. Raffaello Cortina, Milano, 2010.
Bateman A., Fonagy P. (2016), Mentalizzazione e disturbi di personalità. Tr. it. Raffaello Cortina, Milano, 2019.
Jurist E.L. (2018), Tenere a mente le emozioni. Tr.it. Raffaello Cortina, Milano.
Liverta Sempio O., Marchetti A. et al. (2005), Mentalizzazione e competenza sociale. Franco Angeli, Milano.